La giovinezza veneziana
Sono nato a Venezia il 26 giugno del 1954.
La mia famiglia era benestante, mio papà era ricco di famiglia ed era un finanziere, mentre mia mamma aveva due alberghi di proprietà a Venezia.
Da sempre ho dovuto convivere con la violenza: mio papà era molto severo e spesso picchiava me, mio fratello e mia mamma.
Mi sentivo un fanciullo poco amato e messo in disparte. La violenza ricevuta in giovane età è stata il motivo principale che mi ha spinto alla ribellione, alla trasgressione e a diventare un criminale.
Il Polittico del Bellini
All’età 13 anni rubai con Fabio, mio fratello gemello, il tender del Cristina, il panfilo del magnate greco Aristotele Onassis, un bellissimo Riva Ariston, con il quale scorrazzammo per Venezia tutta la notte, prima di abbandonarlo e tornarcene a casa.
L’8 settembre del 1971, a 17 anni appena compiuti, feci un furto: nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, a Venezia, ho rubato il “Polittico di San Vincenzo Ferrer” di Giovanni Bellini e un’opera di Bartolomeo Vivarini.
Con questo gesto eclatante iniziai ad affermarmi nel mondo della malavita.
Successivamente andai ad abitare con quella che sarebbe diventata la mia futura moglie a casa di Silvano Maistrello, il leggendario Kociss. Silvano era più vecchio di me, era anche molto generoso, e distribuiva parte del bottino delle sue scorribande alle persone povere e bisognose di Venezia. Insieme a lui divenni un criminale di professione.
La Mala del Brenta
Sono stato un membro di spicco della Mala del Brenta.
Tutto cominciò quando iniziai a frequentare i locali della Riviera dove conobbi i ragazzi di Campolongo Maggiore. Entrai subito subito in sintonia con loro agevolato dal fatto che erano a conoscenza che durante i miei arresti e le mie detenzioni non ero mai stato un infame, ne mi ero mai venduto.
Con loro svaligiai ville e feci numerose rapine.
Poi arrivò la droga, il male estremo, che seminò disperazione e morte in tutto il Veneto: è il rimorso più grande della mia travagliata vita. Ognuno di noi riusciva a guadagnare 700 milioni di lire al mese, eravamo avidi e senza scrupoli. Diventammo ricchissimi in poco tempo, disposti a tutto per i soldi.
In questo contesto partecipai al triplice omicidio di fratelli Maurizio e Massimo Rizzi e del loro cugino Gianfranco Padovan. Questo episodio ha segnato profondamente la mia vita e sicuramente non lo rifarei, anche se così molto probabilmente sarebbero stati loro ad ammazzarmi.
Sono stato in prigione per trentasei anni, otto mesi e due giorni, di cui dodici anni in isolamento con il regime 41-bis.
Oggi
Adesso sono un uomo libero, ma con grandi rimorsi. Quel che mi rimane da vivere voglio donarlo agli altri, a chi è in difficoltà.
Il mio obbiettivo è finanziare, con i proventi della vendita dei miei libri, una casa famiglia per bambini autistici, ragazze madri e giovani che hanno conosciuto il carcere. Saranno tutti seguiti da persone competenti, affinché non accada loro quello che è successo a me, quando mi sono trovato solo e senza nessuno che potesse sostenermi nelle difficoltà.
Ringrazio tutti i giorni Dio, mia moglie e mio figlio, che sono stati la mia piccola fiamma di speranza nell’inferno in cui ero precipitato.
La malavita porta guadagni facili, ma è un baratro senza via d’uscita: non fate come me, non sono un esempio da seguire.